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Osservo a lungo un’immagine sulla copertina di una rivista; ritrae un folto gruppo di ardeidi di cui alcune decine in volo radente e altrettanti fermi in primo piano con le zampe immerse nelle acque di un lago. Tutto è perfetto: il punto di ripresa, la distanza ridotta dei soggetti, la luce plumbea del cielo che, riflettendosi sulle acque stagnanti del lago conferisce uno strano effetto “acciaio” all’immagine, l’equilibrio dinamico fra gli esemplari “fermi” in primo piano e le sfuggenti pennellate regalate dalle ali “mosse” nel cielo nero sullo sfondo. Mi viene automatico chiedermi il lavoro di preparazione che c’è dietro a quell’immagine perfetta, che forse è nata prima nella mente dell’autore che nella realtà: ipotizzo che quegli uccelli sostino in quel punto per un lungo periodo e che il fotografo abbia potuto prendersi il tempo per scegliere e pianificare ogni dettaglio di quell’immagine, costruzione del nascondiglio inclusa. Rifletto sul fatto che i miei incontri con la fauna sulle Dolomiti non permettono mai un approccio di questo tipo; tutto si svolge sempre in modo fugace e concitato, tutto sembra affidato al caso, all’intuito di un momento, a scelte fotografiche improvvisate; quel poco che si cerca di pianificare viene sempre sovvertito dai fatti, l’incontro ha sempre il sapore dell’ ”adesso o mai più”, e molto spesso è così. Ne risultano quasi sempre immagini che perfette non sono, ma che hanno spesso la capacità di trasmettere un’idea di autenticità, di familiarità con atmosfere realmente vissute, di equilibri grafici e cromatici precari, di attimi rubati, di non eccessiva pulizia, di “sana” imperfezione, che personalmente ho imparato prima a sopportare, poi ad apprezzare e infine a ricercare nelle immagini di quelli che considero, anche per questo motivo, i miei fotografi preferiti.