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Primi giorni di marzo, mattinata uggiosa e grigia di fine inverno. “Tirato” bruscamente giù dal letto all’alba da una concitata telefonata dell’amico Giacomo De Donà (“prendi l’attrezzatura, sali in macchina e parti verso Belluno che poi ti spiego”) mi ritrovo mal vestito e senza caffè in corpo sdraiato nell’erba umida, al riparo di un piccolo cumulo di tronchi nell’ampia pianura alluvionale del fiume Piave in Valbelluna. Da lì osservo incredulo e basito l’inatteso e inusuale spettacolo offerto da un drappello di circa 50 gru in sosta sul greto del fiume; mangiano, si puliscono le ali, addirittura mi regalano una breve danza, anche se a dire il vero con scarsa convinzione; ogni tanto alcune unità si alzano in volo schiamazzanti e dopo un’ampia planata ritornato al punto di partenza fra le apparenti proteste delle compagne rimaste in loco…il freddo umido che penetra nelle mie ossa mi aiuta a realizzare che non sto guardando un documentario su Hornborga o Gallocanta sdraiato sul divano di casa. Le ore passano e come ipnotizzato assorbo ogni fotogramma di quello spettacolo, perfettamente consapevole dell’unicità e forse irripetibilità del momento. Fotograficamente parlando la luce non accenna a migliorare, ma quel paesaggio brullo, dai colori spenti, con gli scheletri dei tronchi ravvivati solo da alcune macchie gialle delle infiorescenze maschili dei noccioli, ben si abbina al grigio piumaggio delle gru e allo spirito di quel luogo. Poco dopo l’ora di pranzo si involano tutte insieme e capisco subito che questa volta non atterreranno più: la tappa è finita. Mentre torno a casa le nuvole si aprono improvvisamente e le retrostanti cime dolomitiche imbiancate di neve fresca regalano uno scenario memorabile; non riesco a non pensare alla possibile foto del drappello di gru in volo con dietro quelle pareti di roccia…difficile lo so, ma in questi giorni in Valbelluna ogni occasione è buona per guardare il cielo e sperare che le nostre rotte si incrocino di nuovo.